Giacomo Leone, ex maratoneta italiano vincitore nel 1996 della maratona di New York in 2h09’54” e oggi Presidente della FIDAL Puglia, è intervenuto in esclusiva ai microfoni di Centro Suono Sport 101.5 durante la trasmissione A Tutto Sport. Queste le sue parole:
Pensa sia possibile abbattere il muro delle 2ore in una maratona, visto che ci si sta avvicinando sempre di più?
«Onestamente no, e continuo a pensare che sia fantascienza. Sono migliorate le tecniche di allenamento, è stata inserita una professionalità nel mondo della corsa con la costituzione di un team attorno all’atleta: oggi l’atleta ha un medico, dietologo, fisioterapista, psicologico e altri. Si è evoluta anche la tecnologia delle scarpe, in modo importante: tutti i tecnici parlano di un miglioramento del 3-4% che, su 120 minuti di gara, sono 6-7 minuti rispetto alle Maratone di qualche anno fa».
Quanto influisce la componente psicologica?
«La componente mentale influisce al 100%. Se tutti noi riusciamo a non costruirci limiti e barriere mentali, allora possiamo fare qualsiasi cosa. C’è anche il fattore dell’incoscienza. Quello che è successo a Chicago è eccezionale, se non extraterreste».
Come viveva la maratona?
«Ho sempre identificato la Maratona come la possibilità di fare il turista nelle grandi città. Nei primi 25-30km mi gustavo il paesaggio e la gente, gli ultimi 12-15km invece puntavo a dimostrare tutto il mio valore. Se ti metti a pensare alla distanza non arrivi più, sono 42km. Devi ascoltarti, ascoltare il tuo corpo e concentrarti, perché il traguardo si avvicina. Mi facevo attirare dal ritmo di quelli degli altri davanti per sentire meno la stanchezza e con la voglia di riprenderli, la Maratona ha una preparazione psicologica: attraverso gli allenamenti ti rendi conto di quello che puoi fare e in che modo. Quando ho vinto New York ho fatto 1h5’34” per poi chiudere in 1h4’20” nella seconda parte, che è quella più difficile».
Che cosa le manca di quando gareggiava?
«La sfida dell’uomo contro uomo, del cogliere il momento giusto per agganciare, superare e poi distanziare l’avversario. Mi esaltavo nelle sfide, non puntavo alla performance. Sono passati 27 anni da quando ho vinto la Maratona di New York, spero presto possa vincere di nuovo un italiano».
C’è qualche atleta europeo che potrà abbattere l’egemonia africana?
«Europei al 100%, caucasici, non ce ne sono. Europei naturalizzati, invece, magari si, come i tanti qatarini. C’era un norvegese, ma poi è scomparso».
Marcello Spaziani