Amedeo Mangone, ex calciatore, allenatore e campione d’Italia con la Roma, è intervenuto in esclusiva ai microfoni di Centro Suono Sport 101.5 durante la trasmissione Crossover. Di seguito le sue parole:

Con la ripartenza del campionato ci sarà qualche stravolgimento negli equilibri della serie A?

Al di là della classifica che è quella, si riparte da zero. Tutti dovranno ritrovare il ritmo partita e comincerà un nuovo campionato. Secondo me questo avvantaggia le inseguitrici. D’ora in poi sbagliare diventa decisivo.

Da allenatore ed ex difensore, quanto cambia un passaggio della difesa da tre a quattro? E’ un opzione per la Roma di Mourinho?

Cambia tanto. A quattro bisogna vedere come i terzini interpretano il ruolo e cosa Mourinho chiede a loro; in più il blocco basso difende a due con i centrali. A tre sei più coperto e guadagni ampiezza con i quinti di centrocampo, ma sei più prevedibile e hai problemi in costruzione. Dipende da Mourinho.

Durante la sua esperienza a Roma lei è stato allenato da Fabio Capello, oggi a Roma c’è Mou. Quanto può recepire un calciatore da un allenatore come loro ?

Si migliora tanto. Sono allenatori con un palmares importante e una personalità forte. Ad allenatori del genere ti devi affidare e non sbagli mai. Loro hanno vinto tanto e hanno allenato calciatori forti: quando giocavo io Capello aveva vinto a Madrid, aveva senso affidarsi completamente.

Rispetto alla sua esperienza a Bologna e a Roma, quanto è cambiato nel calcio in questi anni?

Io ho vissuto un calcio diverso. I proprietari delle società erano imprenditori italiani e li ricordo come padri di famiglia, sia Sensi che Gazzoni. Nei momenti di difficoltà ricordo che non hanno mai fatto mancare il loro apporto alla squadra. Oggi con le proprietà straniere non hai il contatto che c’era una volta con il presidente. In questo momento il punto di riferimento è l’allenatore, il calcio è cambiato e i giocatori devono essere professionisti.

Anche il calcio giocato è diverso, ma la strada è quella giusta?

E’ un calcio sicuramente più fisico, con dei ritmi molto più elevati. Per fortuna il gesto tecnico è ancora l’elemento principale del gioco, esempio al mondiale alla fine fanno la differenza i Messi e Mpappe. Quindi tecnica individuale ad altissima intensità.

Tornando allo scudetto con la Roma, c’è stato un momento nel quale avete capito che l’obbiettivo era concreto e ti aspettavi di rimanere dopo la vittoria?

Parto dalla seconda: è stata una mia scelta. Non ero abituato a giocare poco e in quella Roma c’erano giocatori più forti di me. Samuel, Aldair e Zago erano fortissimi, ho imparato tanto, ma cercavo più continuità. Sulla prima il pareggio a Torino contro la Juve che ci inseguiva. Perdevamo 2-0 all’intervallo e Capello cambiò Totti con Nakata e siamo riusciti a pareggiare. In generale però si vedeva durante gli allenamenti: c’era grande intensità, giocatori fortissimi, la qualità dell’allenamento stesso era elevatissima.