Abel Xavier, ex difensore portoghese della Roma nella stagione 2004-05 e allenatore, è intervenuto in esclusiva ai microfoni di Centro Suono Sport 101.5 durante la trasmissione Mixover. Queste le sue parole:
Che cosa succede alla Roma e ai suoi connazionali José Mourinho e Tiago Pinto?
«Ho avuto la fortuna di aver incontrato Mourinho come allenatore quando ero giovane, è stato parte di una squadra tecnica molto forte e ho capito subito che davanti avevo una persona diversa, molto pragmatica e concentrata sul lavoro. Da allenatore ha avuto una carriera che per chiunque alleni è d’esempio, per la sua personalità e per il suo modo di vedere il calcio. Ha vinto in tutti i contesti: in quello di formazione al Porto, poi ha fatto il salto in squadre che vogliono e devono vincere sempre. Lui ama questi progetti così, non solo sul piano organizzativo ma anche emotivo e decisionale. Crea un piano speciale, tra allenatore e giocatore, al di là dei risultati. E’ vero che ora si sente solo, è un allenatore e in quanto tale è il prezzo da pagare. Oggi nel calcio devi vincere a tutti costi, ma bisogna maturare: prima di vincere si deve trovare un’idea comune di come si deve vincere, si deve creare una struttura competitiva a tutti i livelli, non solo a livello di gioco ma anche sul profilo decisionale e organizzativo. Le squadre che hanno spesso tanti soldi, pur non vincendo tanto all’inizio, hanno sempre creduto nel progetto e nei soggetti: vedi il Manchester City. Hanno costruito qualcosa che poi ha dato i suoi frutti, oggi è una squadra che esprime un calcio esemplare con un allenatore esemplare che non si ferma mai sulle proprie idee di gioco. Sono stato un giocatore internazionale e ho capito da tanti tecnici come bisogna comportarsi. Come allenatore devi capire che tipo di gioco e identità devi portare alla squadra, la pressione del cercare la vittoria non sempre fa maturare le idee di un tecnico. Mourinho sa come creare una Roma vincente: la Roma ha già vinto con lui la Conference League, poi si doveva confermare in campionato ma questa competitività alla Roma manca. Non è facile vincere la Serie A: il Napoli ha fatto una cosa incredibile l’anno scorso, dopo anni di dominio Juve, l’Inter ha costruito una rosa fortissima e ora ha continuità e consistenza e si può vincere solo così».
Tiago Pinto è la figura giusta per poter costruire una Roma vincente?
«So benissimo il lavoro che lui ha fatto al Benfica, una squadra che doveva ricostruirsi da dentro a fuori. E’ stata una persona fondamentale. Ci sono tante persone dentro la struttura, ma alla fine c’è un triangolo molto importante tra allenatore, Direttore Generale e Presidente. Vanno rispettate anche le altre persone all’interno della struttura, ma questo triangolo deve essere chiuso nelle proprie idee. Serve la capacità di confrontarsi con gli altri, identificando i giocatori con la personalità giusta, al di là delle difficoltà finanziarie che oggi soprattutto possono esserci e ci sono. Va creata una certa identità. Oggi per esempio nel calcio si è perso il concetto di Primavera, con il singolo giocatore che cresce, si forma e diventa simbolo della squadra. O spendi subito tanti soldi per stringere e accorciare questo processo di formazione, prendendo giocatori già forti, o vai a definire un obiettivo per raggiungere il quale serve tempo ma in tal caso devi far passare questo messaggio anche ai tifosi. Qualsiasi club che voglia tornare forte, come la Roma, ha bisogno di tempo perché deve ricostruirsi dall’interno e fissare degli obiettivi».
Renato Sanches è una scommessa persa?
«Renato Sanches è un caso strano, di un giocatore che seguo da tanti anni. E’ stato un giovane che ha avuto un impatto tremendo di sei mesi nel mondo del calcio e tutti lo volevano. Ha avuto una crescita troppo forte sul piano fisico, poi ha iniziato ad avere problemi. Muscolarmente deve stare molto attento. Sta trovando difficoltà, deve trovare un contesto di persone che possano capirlo e farlo tornare a esprimere il calcio che lui può esprimere. E’ tutta una questione di equilibrio e non tanto mentale, deve provare a tornare e migliorare e crescere sull’appoggio. Oggi come oggi la Roma ha tanti infortunati sulla rosa iniziali, tanti se non tutti erano titolari: Spinazzola, Smalling, Dybala e Pellegrini. Devi cambiare tutto e adattare il modulo alle caratteristiche dei giocatori che stanno bene. Mourinho sa controllare queste situazioni, ma sul piano tattico sta adattando magari un sistema a cui inizialmente non aveva pensato».
Che cosa ricorda della sua esperienza alla Roma?
«E’ stato un piacere venire a Roma, in un’annata molto difficile con quattro allenatori. Ho vissuto la città, ho visto quanto i tifosi amino la squadra e l’ambizione di vincere che hanno. Ho giocato in diversi contesti, grazie al calcio ho conosciuto culture diverse vivendo la passione della gente per il calcio. Possiamo parlare della ricchezza materiale del calcio, ma la ricchezza emotiva è molto importante ed è quella che mi porto dietro anche da allenatore. Ogni paese ha la sua storia calcistica, anche a livello di rivalità. Ho giocato con Roma, Galatasaray, PSV, Benfica e Liverpool: a livello competitivo di devi esprimere al massimo».
Marcello Spaziani