Ferdinando “Fefè” De Giorgi, Commissario Tecnico della Nazionale Italiana di Volley da poco laureatasi Campione del Mondo, è intervenuto in esclusiva ai microfoni di Centro Suono Sport 101.5 durante la trasmissione “Borderò” . Queste le sue parole:

Che cosa le hanno lasciato questi dieci giorni post-vittoria al Mondiale?
«Ora cominciamo a vedere meglio quello che abbiamo combinato, lì è stato un turbinio continuo di emozioni e non ce ne siamo resi conto. A mente fredda stiamo realizzando come questo risultato sia storico per quanto riguarda la pallavolo e speciale per quanto riguarda i ragazzi presenti».

Come ha agevolato il cambio generazionale portandolo anche alla vittoria?
«L’anno scorso, quando sono stato nominato, il primo pensiero è stato dare un cambio, soprattutto vedendo la presenza di giovani interessanti. L’obiettivo era arrivare a Parigi 2024 dando opportunità a questi validi ragazzi. Non è stata una decisione semplice, ma da quando li ho visti ho sempre creduto nelle loro qualità e sono contento le stiano dimostrando. Spero l’affidarsi ai giovani di qualità possa essere un messaggio importante».

Che cosa ha portato la sconfitta in Nations League con la Francia?
«Le sconfitte toste sono state due, quella con la Francia in semifinale di Nations League per 3-0 e quella con la Polonia nella finale per il terzo posto sempre per 3-0. Abbiamo fatto un’Europeo dove abbiamo vinto tutte le partite, abbiamo fatto un girone di Nations League concludendo al primo posto. Poi nelle prime partite in Italia, a casa nostra, volevamo fare bella figura ma abbiamo preso due batoste. Le grandi squadre, però, usano la sconfitta come momento di crescita, vanno capite le cose da cambiare per poi ripartire con più forza. Nel mese tra le sconfitte e l’inizio dei Mondiali abbiamo cambiato alcuni aspetti ed abbiamo deciso di essere noi stessi».

Lei ha lavorato su sé stesso?
«Alcuni principi restano, ma il modo di allenare cambia con le esperienze. Ho fatto esperienze all’estero, in Russia ed in Polonia, oltre che in Italia, affinando alcuni aspetti. Ogni squadra che alleni non è mai la stessa, ci sono già degli equilibri con cui confrontarti. Devi sempre cercare di rendere tutti uniti e coinvolti. Pur rimanendo la mia indole di non essere un allenatore che grida, devi capire se quello che fai è utile o meno per la squadra. Nei time-out mi concentro su ciò che devo dire alla squadra, sia sotto l’aspetto tecnico e della situazione del gioco sia sotto l’aspetto motivazionale. Non bisogna lasciarsi prendere».

E’ vero che gli ex palleggiatori hanno una marcia in più in panchina?
«La marcia in più la possono avere ma perché sono abituati a farsi delle domande. Quando fai il palleggiatore gestisci la squadra, ne sei il motore, hai sempre il secondo tocco e ti avvicini alle problematiche dell’allenatore. Si dice infatti che spesso il palleggiatore è la mano lunga della squadra».

Chi, oltre a Julio Velasco, ha ispirato la sua carriera da allenatore?
«L’esperienza con Julio è stata molto importante e significativa, poi ho avuto anche altri grandi allenatori. Quello che ho sempre cercato di fare è stato prendere gli spunti più interessanti dagli allenatori, sia da quelli bravi che da quelli meno bravi, sul cosa fare e non fare. L’aver avuto allenatori bravi ha agevolato sicuramente la mia esperienza».

Quali sono le critiche che le hanno mosso o le potrebbero muovere i suoi vecchi allenatori?
«Questa è una bella domanda, quando li incontrerò glielo chiederò. Nel nostro mestiere cambiano le cose molto velocemente, siamo legati ai risultati. Chi fa l’allenatore prima di muovere delle critiche ci pensa tre volte, molte cose dipendono da situazioni non volute o di non facile gestione».

Che cosa manca attualmente nella sua bacheca, da giocatore e da allenatore?
«Questa squadra sta seguendo un percorso importante, abbiamo l’obiettivo di costruire, migliorare ed essere noi stessi. L’anno prossimo abbiamo gli Europei in Italia, per noi è una manifestazione molto importante, poi si vedrà».

Perché l’Italia non è ancora riuscita a vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi?
«Dal punto di vista tecnico il Mondiale è più completo e difficile, alle Olimpiadi ci sono solamente dodici squadre divise nei cinque continenti ed una di queste è il paese ospitante. Motivi tecnici non te li so dire, quando perdi l’Olimpiade per un pallone come ad Atlanta c’è poco da dire. Noi dobbiamo fare un percorso, non deve essere un’ossessione altrimenti ci si fa male da soli. Bisogna giocare meglio degli avversari, per il resto non cambia nulla e non c’è una preparazione diversa».

Lei che Mister di Serie A potrebbe essere?
«Dal punto di vista caratteriale mi piace molto Ancelotti, dal punto di vista dell’insistenza mi sento invece molto vicino ad Antonio Conte soprattutto negli allenamenti, in cui è molto esigente. In partita, invece, sono molto più vicino ad Ancelotti».