Andrea Lo Cicero, ex rugbista e oggi personaggio pubblico televisivo, è intervenuto in esclusiva ai microfoni di Centro Suono Sport 101.5 durante la trasmissione A Tutto Sport. Queste le sue parole:
Che cosa si aspetta dalla finale del Mondiale SudAfrica-Nuova Zelanda?
«E’ una finale che può raccontare tante storie. Non so se sia una finale giusta o sbagliata, le due squadre si scontrano in finale dopo vent’anni. Ci sarà un vincitore e un perdente, ma se sono arrivate a questo punto vuol dire che se lo sono meritato. C’è un grande duello, sono squadre che si trovano regolarmente nell’emisfero Sud: è come se fosse una sorta di derby. Il migliore vincerà questa battaglia perché di questo si tratta sotto il punto di vista sportivo».
Come è andata la finale del terzo posto, in cui l’Inghilterra si è imposta sull’Argentina?
«Questo è un Mondiale un po’ strano. Le nuove regole indicano falli gravi per dei placcaggi, le squadre si trovano spesso a giocare in 13, 14 o 15. E’ un Mondiale anomalo, ci sono squadre che hanno la necessità di giocare per avere ritmo e non sempre sono state in grado di trovare questo gioco. All’Argentina piace giocare in confusione quindi si è trovata bene. L’Argentina nel finale è andata in attacco, poteva almeno pareggiare ma alcuni calci non sono andati a buon fine: ci vuole anche fortuna».
Pensava che l’Italia potesse andare più avanti in questo Mondiale?
«Secondo me ha fatto un buon Mondiale, al di là delle polemiche. Ci sono cose da sistemare e verificare, ma va data fiducia a questa squadra. Serve un leader fuori dal campo, in campo ci sono. Non possiamo fare un confronto tra la mia epoca e questa, bisogna avere dei condottieri che sappiamo quale è il valore della maglia azzurra: loro lo sanno, ma magari uno staff tecnico che viene dalla Nuova Zelanda non conosce il valore del nostro tricolore. Se loro capiscono quest’importanza allora ci sarà un aspetto in più, manca la parte caratteriale perché deve uscire un gioco italiano. Le ragazze invece, con uno staff italiano, stanno facendo bene in Nuova Zelanda. Se inserisci uno staff italiano, con un percorso di crescita, i risultati arriveranno».
Quali sono le differenze tra il suo rugby e il gioco di oggi?
«Al mio tempo era un duello tra uomini, atleti e Nazionali. Oggi c’è un controllo eccessivo, dal mio punto di vista, per quanto riguarda la sicurezza. E’ giustissimo, ma è impossibile gestire cartellini quando c’è un giocatore di 2metri e 10 e uno di 1metro e 70. Non si può fare un processo al giorno, questo è il segno che questo rugby sta cambiando».
Che Italia si aspetta al Sei Nazioni?
«L’Italia sta facendo il suo cammino, l’allenatore è molto bravo: ci ho giocato . E’ latino, ha conoscenza della nostra cultura e parla un po’ l’italiano. Queste sono le buone caratteristiche, esalterà la nostra parte caratteriale perché la tecnica c’è».
Che cosa le manca della carriera da atleta?
«Mi manca la carriera da atleta. Viviamo in un mondo senza regole, di sciacalli. Lo sport insegna tanto: quando finisci la carriera questa parte manca tantissimo: il lavoro di squadra, l’essere subordinati a quello che si fa, il rispetto nei confronti dell’allenatore ma anche del compagno e dell’avversario. Questa mancanza di regole nella vita quotidiana, non da parte mia ma da parte di tutti, si fa sentire».
Meglio il rugby o la cucina?
«Oggi meglio cucinare, ho 47 anni. Quando entro in campo mi viene voglia di giocare, ma il mio percorso è già stato scritto e ora bisogna scriverne un altro. Fare la pasta è molto più semplice, le possibilità di sbagliare sono minori: la partita o la vinci o la perdi e crei sempre uno scontento, in positivo o in negativo, mentre la pasta può essere leggermente più salata o ci puoi mettere troppa salsa di pomodoro».
Marcello Spaziani